top of page

Economia, infanzia e nuovi educatori: cosa sta realmente cambiando

Negli ultimi anni il rapporto tra bambini, consumi e scelte familiari è cambiato con una rapidità senza precedenti. Non si tratta di un'impressione soggettiva: la letteratura di marketing, sociologia ed educazione documenta un fenomeno concreto e trasversale.

Questo articolo non vuole accusare, né cercare responsabilità individuali.

L’obiettivo è osservare con lucidità ciò che sta accadendo e contribuire a ricostruire consapevolezza.

Perché, quando un sistema culturale cambia troppo velocemente, il rischio è che qualcosa sfugga di mano senza che ce ne accorgiamo.


1. L’infanzia come segmento di mercato: un passaggio studiato e intenzionale

Da decenni il marketing considera i bambini non solo come “futuri consumatori”, ma come consumatori immediati, con preferenze e potere d’acquisto indiretto.

In letteratura esistono due concetti fondamentali:

  • children as consumers: i bambini come mercato autonomo, con dinamiche proprie;

  • pester power: il potere di insistenza che influenza le scelte economiche della famiglia.

Queste non sono etichette interpretative, ma categorie accademiche consolidate.

La ricerca mostra che:

  • i bambini influenzano una parte rilevante delle decisioni di spesa (alimentari, tecnologia, tempo libero);

  • molte campagne di comunicazione sono progettate per stimolare richieste ripetute, urgenza, desideri imitativi;

  • il marketing lavora sulla fedeltà precoce al brand, perché ciò che si “impara” da piccoli tende a restare.

Risultato: il bambino diventa un micro-decisore di consumo, non per una scelta educativa, ma per un’evoluzione del mercato.


2. Famiglie sempre più child-centered: quando il genitore diventa esecutore

Sociologi e pedagogisti descrivono la crescita del modello di famiglia child-centered: una struttura in cui il bambino occupa il centro dell’organizzazione domestica, delle agende, delle decisioni.

A questo si aggiunge il fenomeno dell’intensive parenting, basato su un investimento crescente in attività, stimoli, esperienze e beni da mettere “a disposizione” del figlio.

La ricerca sugli acquisti familiari documenta tre dinamiche ricorrenti:

  • I genitori vivono tensioni tra valori educativi e pressione consumistica proveniente dal contesto.

  • Per evitare conflitti o isolamento sociale del figlio, molti genitori cedono anche quando non condividono la richiesta.

  • La cultura consumistica propone l’idea del bambino come estensione identitaria del genitore, dove “buona genitorialità” coincide con offerte costose e continue.

Ne deriva uno scenario in cui il bambino decide cosa mangiare, dove andare, cosa fare nel tempo libero, mentre il genitore assume un ruolo operativo: non più guida stabile, ma facilitatore di preferenze.

Questo non per mancanza di volontà, ma per pressione esterna crescente.


3. Social e media come nuovi educatori: un ruolo economico prima che formativo

Un tempo i principali riferimenti esterni erano la scuola, la comunità e il gruppo dei pari. Oggi il terzo educatore è il sistema delle piattaforme digitali.

La ricerca sul capitalismo della sorveglianza (Zuboff e altri autori) descrive il funzionamento di questa nuova infrastruttura:

  • le piattaforme raccolgono dati comportamentali;

  • li trasformano in previsioni commerciali;

  • ottimizzano contenuti per aumentare tempo di permanenza e interazioni.

Per i bambini, questo significa che:

  • i contenuti che vedono sono progettati per engagement, non per crescita;

  • mode, oggetti, linguaggi e stili vengono proposti con meccanismi che amplificano imitazione e desiderio;

  • abbigliamento adultizzato, gadget costosi e trend veloci entrano nella quotidianità come “normalità condivisa”.

La ricerca specifica sui minori in ambiente digitale conferma che i bambini sono diventati oggetti di raccolta dati e target privilegiato per strategie di brand building.

È un ecosistema competente, ben strutturato e con logiche puramente economiche.Non è progettato per educare. Eppure, di fatto, educa.


4. L’imperatore delle recensioni: un clima culturale che influenza anche l’infanzia

In parallelo, la cultura dell’opinione continua — recensioni, rating, commenti — ha ridisegnato il rapporto tra consumatore e servizio.

Dati OCSE e ricerche economiche dimostrano che:

  • un aumento di mezzo punto stella può spostare significativamente vendite e flussi di clienti;

  • le imprese vivono sotto valutazione costante;

  • le recensioni sono spesso emotive, immediate e non sempre competenti.

È un elemento che riguarda gli adulti, ma genera un clima culturale che ricade anche sui bambini:

  • tutto diventa giudicabile;

  • tutto deve “piacere”;

  • la soddisfazione immediata diventa metrica implicita di successo.

In un contesto simile, il limite educativo perde legittimità: ciò che “non piace” rischia di essere percepito come “sbagliato”.


5. Economia e politica: cosa è intenzionale e cosa è conseguenza

La trasformazione dei bambini in consumatori è economicamente intenzionale: esiste letteratura, strategie e investimenti dedicati.

La politica interviene poco e tardi, con regolazioni ancora inadeguate su:

  • pubblicità ai minori;

  • raccolta dati;

  • trasparenza algoritmica;

  • limiti alla profilazione commerciale.

Non esistono prove di strategie politiche centralizzate per “modificare l’infanzia”, ma esiste un allineamento sistemico:

  • interessi economici forti;

  • regole deboli;

  • narrazioni culturali che normalizzano consumismo e immediatezza.

Il risultato è un disequilibrio che si costruisce lentamente, invisibile nella quotidianità.


6. Cosa ci dice tutto questo: un problema reale, senza bisogno di allarmismi

Il fenomeno non richiede toni apocalittici.Richiede consapevolezza.

Dall’analisi emerge che:

  • il potere decisionale dei bambini è aumentato non per scelta educativa, ma per logiche di mercato;

  • il ruolo del genitore si è indebolito per pressione esterna, non per incompetenza o disinteresse;

  • i social occupano spazi educativi perché riempiono un vuoto progettuale e culturale;

  • l’opinione pubblica continua ha reso ogni scelta un prodotto da valutare, non un percorso da costruire.

Il vero dato è questo:

la struttura educativa tradizionale è stata spostata, senza che nessuno lo annunciasse esplicitamente.

Osservarlo è il primo passo per riequilibrare.


7. Una prospettiva MyGEA: ricostruire confini chiari e criteri fondati

MyGEA non propone nostalgie del passato né contrapposizioni ideologiche.Propone criteri di ordine, qualità e consapevolezza.

In questo scenario:

  • rimettere solidità al ruolo del genitore diventa un atto culturale;

  • distinguere tra desiderio del bambino e decisione educativa diventa una competenza;

  • creare filtri, routine e limiti chiari diventa una forma di tutela;

  • spiegare ai bambini cosa guida una scelta diventa alfabetizzazione etica ed economica.

Non si tratta di “tornare indietro”, ma di ritrovare proporzioni sensate.

Il mercato può proporre,la tecnologia può intrattenere,le piattaforme possono informare.

Ma educare resta una funzione interna alla famiglia e alle comunità, che merita spazio, strumenti e dignità.


Melania Frigerio

Visual Communication & Educational Creator | Founder of MyGEA


Autrice e fondatrice del progetto culturale MyGEA. Si occupa di comportamento, educazione contemporanea e linguaggi sociali, con un approccio osservativo e pratico. Scrive per offrire una lettura ordinata e chiara dei fenomeni che influenzano la vita quotidiana e professionale.

___

© Melania Frigerio – MyGEA Project.

La pubblicazione, riproduzione o diffusione è consentita solo previa autorizzazione scritta.


ree

 
 
 

Commenti


Associazione Culturale MyGEA

Via Guidino 10 - Paradiso (Svizzera)

- Curo la Mia Terra -

Progetto sostenibile per migliorare la qualità della vita quotidiana.

  • Instagram

Legal for Digital  © Copyright 2022 - 2025 by MyGEA Associazione Culturale
- Creato con Wix.com -

bottom of page